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24 Novembre 2022
Natalia Jacquounain: le opere che catturano e sintetizzano il miracolo della luce
Di Maria MarcheseNatalia Jacquounain nasce in Russia, ma, a metà degli anni ‘80, decide di abbandonare la propria terra d’origine, per raggiungere la Francia, ricongiungendosi, così, con un approccio, nei confronti dell’arte, per lei, più “colorato” e vivo, rispetto a quello russo.
Sin dagli anni ’70,
affronta un percorso estetico, costituito da studi certosini: le nature morte sono un incipit fecondo, che evolve, nel tempo,
in ricerche e attuazioni compositive, sempre più complesse; esse si arricchiscono e attualizzano, via via, fino a staccarsi dalle
tele e diventare atti scultorei scelti e non comuni. |
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Natalia Jacquounain |
Attinge, in seguito, ad alcune incisioni
di Hogarth importante artista e intellettuale inglese del XVIII secolo, che concretizza nella serie “Violoncelle Noir” e
“Violons d’automne”. L’impegno speso in ognuna di queste diverse conoscenze si concretizza e consolida, negli anni a seguire,
mentre nuove esperienze estetiche nascono; nel 2015, in occasione di una mostra presso Cloître des Billettes,
alle due serie sopra citate, Natalia Jacquounain affianca la serie “Narcisse”.
A partire dagli anni Ottanta, poi, l’artista realizza una serie di paesaggi e nature morte, che esplicitano
la sua necessità di dar voce allo spazio sulle tele: queste ultime rispecchiano una sperimentazione, che suggella le sue
capacità esecutorie.
Progressivamente, lo studio delle basi matematiche della prospettiva la porta alla creazione di oggetti in volume:
sculture da appoggiare o da appendere. I volumi non abbandonano mai, completamente, nemmeno i supporti materici,
e diversi sono i florilegi estetici, che prendono vita: “Lutece”, “Foret urbain”, “Gothicus”, “Fauselle”,
“I tetti di Monmartre come gioco di pesi e contrappesi”, “Lockdown o Mondo nell’altra dimensione”, “Confinamento”,
sino alla neo nata “Meta – ecologia”. Il lato plastico di Natalia Jacquounain rappresenta, a mio avviso, un
periodo meritevole di grande attenzione: dal calcolo, inattesamente, l’artista edifica profili pieni, che
lumeggiano dettagli e contesti umani, sociali, naturali…, carpiti nella loro mutevolezza, preservando, alfine,
poesia e levità.
“A quanto possiamo discernere,
l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del mero essere.”
Carl Gustav Jung
In “Eclat festival”, Natalia Jacquounain sembra cogliere la significanza più alta del concetto,
espresso dal filosofo: con acutezza, infatti, sintetizza la verità plastica di una radianza,
fisica e intellettuale, battezzando l’incipit di un’estate esistenziale. In “Bang”: l’artista
fa scattare il grilletto e, un istante dopo, esso torna al proprio posto, mentre il colpo fende
l’aria. O, ancora… in “Click”: Natalia Jacquounain preme il dito sul pulsante di un dispositivo
fotografico e, fulmineo, il flash compare, poi, scompare, mentre, all’interno, umori vengono
liberati da un baccello, suggellando, immediati, i profili di un istante.
L’autrice flette il braccio, nella cui mano è impugnata una mazza da golf, all’indietro, poi,
lo sposta, in maniera calibrata, ma decisa, in avanti, finché la testa colpisce la pallina, che si libra, verso
l’alto, tagliando il respiro circostante, per, poi, ricadere al suolo.
Un triadico immaginario penetra il temperamento creativo di Natalia Jacquounain, conturbandolo. L’artista viene, dapprima, rapita da quell’intuizione, ‘sì che il desiò di confessarla, al ciglio umano, muta in irrequietezza e fermento intellettivo: suono, luce, odori, movimento, velocità, linee, forme… allora, pullulano, nella sua mente, si sposano e abbandonano, rimbalzano, si fermano, si tendono e rilassano… Così, questo vorticoso susseguirsi di pensieri appare e scompare, a intermittenza. |
![]() Eclat estival |
L’occhio analitico della scenografa individua, quindi, tutti gli elementi
reali di quel breve atto teatrale, ma non le basta; ricerca, nella geometria e
nel calcolo, le radici, per poter concretare la filosofia di quel l’incipit,
tanto fugace quanto rapinoso e affascinante, che matura, poi, in studio
riflessivo.
La brevità del lasso di tempo, a cui vuol donare vita, si scontra con la profondità di quel
theorēma, che è meditazione e osservazione, tangibile e non, la sottilità lo fa con
l’universalità, poi, d’emblèe, Natalia Jacquounain trova il giusto compromesso: il palmo
ne schematizza la tensione comportamentale e emotiva ambientale, su carta, dopodiché, minia
la realtà erratica infinitesimale, caratterizzando, attraverso la realizzazione di
parallelogrammi e triangoli, che si intersecano e inclinano, il diastema spazio/temporale,
in cui quel “festival”, ossia quella vivace festa danzante di energia luminosa, esperisce
se stesso, come sferica presenza, raddolcendo, invero, il rigore della composizione.
Natalia Jacquounain frantuma la banalità dell’evento quotidiano per coinvolgerlo,
alfine, in architetture artistico/esistenziali, che testimoniano un salto di qualità nel panorama
artistico internazionale.